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Da Il Sole d'Italia numero 48   1 - 15  settembre 2007

Sgarbi messicani

Intervista esclusiva.
Il più celebre critico d’arte d’Italia nella terra
dei Maya e degli Aztechi. Scopriamo perché.

di Vito Taormina

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Provocatore? Sì, ma spesso provocato. Urlatore? Anche. Ma soprattutto per legittima difesa. E allora vada per «polemista», neologismo da lui stesso coniato. Lui non può essere che Vittorio Sgarbi, il più celebre critico d’arte d’Italia. Il più divertente. O il più odioso. Dipende dai gusti. Un fatto però è assodato: Vittorio Sgarbi è l’unico intellettuale della Penisola che, con le buone o le cattive, è riuscito ad avvicinare all’arte il grande pubblico italiano. E questa è già di per sé un’opera meritoria. Portata avanti innanzitutto con il mezzo televisivo (che padroneggia dai tempi del Maurizio Costanzo Show e di Sgarbi Quotidiani) e poi attraverso esposizioni, rassegne, libri e conferenze. Oltreché con passionali campagne per la salvaguardia dei tormentati beni culturali italiani. Sì, qualche volta, nel corso degli anni, il critico d’arte è anche inciampato nelle polemiche. Ma è sempre caduto in piedi. Più urlante di prima. Oggi Vittorio Sgarbi è assessore alla Cultura al Comune di Milano, ma con il sindaco Letizia Moratti sono spesso scintille. Come accaduto per la mostra Vade Retro sull’arte gay. Mostra che «Donna Letizia», come lui la definisce, non ha gradito perché ritenuta offensiva. Infatti è stata chiusa prima che aprisse. «Chissà, vuol dire che porterò Vade Retro in Messico» rivela il critico d’arte in questa intervista esclusiva a Il Sole d’Italia. E di fronte al Castello di Chapultepec, uno dei simboli di Città del Messico, Vittorio Sgarbi si sofferma a parlare della mostra di cui è curatore: Giorgio De Chirico. El pasado perpetuo (Città del Messico, Museo Nacional San Carlos, fino all’8 ottobre). Poi discute anche dei surrealisti, del rapporto pittura-letteratura, del suo interesse per i nuovi artisti messicani, dei suoi nuovi progetti. Con la promessa che tornerà a visitare la terra dei Maya e degli Aztechi e l’attivissimo Istituto Italiano di Cultura di Città del Messico.

Potrebbe spiegare ai lettori italiani in Messico l’importanza e il valore dell’ esposizione «Giorgio De Chirico, il passato perpetuo»?

Credo che tra i grandi artisti italiani del Novecento, Giorgio de Chirico, insieme a Giorgio Morandi, sia il più importante. Non soltanto come italiano, ma come autore internazionale. Perché de Chirico apre la strada ai surrealisti che lo tengono come uno dei loro principali riferimenti nell’epoca della pittura metafisica, che dura appunto fino all’inizio del Surrealismo. Il tipo di personaggio molto autoironico e pieno di sé che de Chirico rappresenta, viene interpretato prima da Salvador Dalì e poi da Andy Warhol. Esiste quindi una linea che tiene insieme questi artisti così legati al loro personaggio, alla loro forza. De Chirico inoltre è il più importante pittore italiano del Novecento perché è un artista che coincide con gli anni in cui la pittura si apre a una dimensione individuale che in alcuni artisti diventa una vera e propria pittura filosofica. È il caso di Max Ernst, e di Salvador Dalì. Ma soprattutto di de Chirico, che è prima di tutto un uomo di pensiero: infatti, anche se fino all’ultimo vuol fare il pittore e pretende il primato della pittura, in realtà è il primo che fa capire che l’idea è più importante della pittura. Tanto che lui, negli Anni ’60 e ’70, dipingerà opere già eseguite negli Anni ’10 e ’20 sostenendo che non si tratta di falsi, ma del suo pensiero che si ripropone. Appunto in un passato perpetuo.

Pensiero che si evolve...

È un ritorno più che una evoluzione. Nel senso che se io ho scrivo una cosa nel 1915, essendo mia posso rifarla uguale anche nel 1960. Non è un falso. È un’idea che è mia. E l’idea è più importante dell’opera. Lo dico perché nel Novecento l’artista più rivoluzionario è ritenuto Marcel Duchamp il quale sostiene che il pensiero dell’artista è più importante dell’opera che realizza: il suo famoso orinatoio rappresenta proprio questo concetto. De Chirico dimostra la stessa cosa, pur continuando ad esaltare la pittura. Questo è un caso molto singolare, anche dal punto di vista dell’interpretazione, e nella mostra di Città del Messico, si capisce molto meglio che non in qualche altra grande mostra di pittura. Perché? Le litografie creano una uniformità del percorso di de Chirico nell’arco di 70 anni di pittura: inizio e fine sono sempre perfettamente omogenei. Invece c’è una tradizione critica che tende a screditare il de Chirico degli Anni 30, 40, 50, 60, 70 per dare spazio soltanto al de Chirico degli Anni ’10 e 20. Come se fosse morto. Ma non lo è. Sembra invece il dottor Jekyll e Mister Hyde, come nel romanzo di Robert Louis Stevenson.

Servirsi della letteratura per comprendere il pensiero di de Chirico?

Ciò che è singolare è che per capire bene de Chirico sono più utili degli scrittori come ad esempio Jorge Luis Borges con il suo racconto Pierre Menard, autore del Don Chisciotte, che è la stessa opera di Miguel de Cervantes riscritta negli Anni ’30. Ma che quindi diventa un’ opera diversa. Quest’idea del tempo che non esiste è molto forte e si ritrova perfettamente in Borges come in de Chirico. Si può tracciare un parallelo anche con Ionesco, e quindi con gli autori dell’Assurdo. Quindi alla fine Stevenson, Borges e Ionesco sono i critici migliori per capire de Chirico più di quanto non siano i critici stessi.

Lei sostiene che per de Chirico il pensiero è importante almeno quanto la sua pittura. Se non di più. Ma non è un tratto caratteristico dei pittori che non possiedono una grande mano?

Sì, appunto. Ecco perché nel caso di de Chirico è qualcosa di formidabile, di molto strano, di singolare. Perché de Chirico è un “pittore-pittore” che si diverte, che gioca con la pittura. Lui si chiama “pictor optimus” e pretende che la pittura sia tutto. Non è un pittore tutto mano e poca testa, ma di grande testa e di buona mano. E’ un grande intellettuale che elabora una pittura dei paradossi. Ed è anche un importante letterario: i suoi libri Hebdomeros, del 1929, e Memorie della mia vita, del 1962, sono dei testi letterari formidabili, pieni di ironia e divertimento. Un altro maestro che prende spunto da Giorgio de Chirico è René Magritte, anche lui autore di una pittura apparentemente elementare ma piena di concetti.

Cosa pensa dell’arte messicana e dei giovani artisti messicani?

Ho una grande considerazione dei nuovi artisti messicani. Oltre alle figure ovviamente note come Diego Rivera, Frida Kahlo, Josè Clemente Orozco e Remedios Varo, mi pare che ce ne siano altrettante interessanti. Un esempio? Vorrei portare in Italia lo scultore Javier Marín. Ma con il Messico si può fare ancora di più. Sul piano dell’editoria, ad esempio, Milano avrà un ruolo importante alla Fiera Internazionale del Libro di Guadalajara. Quindi gli autori messicani si possono portare in Italia, così come gli autori italiani possono farsi conoscere in Messico.

Dopo la mostra su de Chirico, quali collaborazioni ha in mente di fare con il Messico?

Altre mostre, come ad esempio L’arte delle donne: dal Rinascimento al Surrealismo. Noto infatti che qui a Città del Messico c’è molto interesse per l’arte.

Perché a Milano si è deciso di «censurare» Vade Retro, la mostra sull’omosessualità nell’arte?

Vade retro è un problema non ancora risolto. Il sindaco ha stabilito così. Hanno tolto tutte le immagini con riferimenti religiosi. Immagini che non avevano nulla di osceno, ma che sono state interpretate come se avessero delle “contaminazioni” omosessuali. Da questo errore di metodo è derivato il pasticcio. Erano opere prive di ogni legame. Il Martirio di San Sebastiano, ad esempio, è stato visto solo come riferimento del mondo gay. Ma Vade retro è una mostra che, perché no, magari si potrebbe portare anche in Messico.

È vero che vuole portare in Italia anche il tenore messicano Ramon Vargas? Con Vargas abbiamo fatto amicizia e c’è un discorso aperto per portarlo al teatro Arcimboldi. A Milano e Torino è in corso un eccezionale evento culturale, il festival MiTo. La cosiddetta Bella Estate di Milano, in un contesto di grandi mostre tra cui quella molto trainante di Fernando Botero, ha il suo punto di maggior rilievo nel Festival MiTo che è iniziato il 27 agosto e chiuderà la stagione il 27 settembre. Un festival internazionale di musica che non è in concorrenza, ma in collaborazione con Torino che da anni organizza il Settembre Musica. Il risultato? Quasi il triplo dei concerti in più, di cui 50 in sedi milanesi, e una straordinaria possibilità di trarre vantaggio dalle due città con una programmazione che consente anche di economizzare su alcune spese.

Dalla pittura siamo arrivati alla musica. Visto che siamo in argomento, secondo lei quali sono i pennelli più musicali della storia dell’arte? Basta pensare a Odilon Redon, pittore simbolista, che era molto vicino a Claude Debussy. Oppure a Caspar David Friedriche che nei suoi dipinti evocava la potenza espressiva di Ludwig van Beethoven.

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