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Da Il Sole d'Italia numero 78   1 - 15  dicembre 2008

Il Messico nel cuore

Intervista esclusiva a Renzo Arbore.
«Le canzoni di questo Paese sono belle come quelle napoletane». Lo showman, protagonista a Guadalajara con l’Orchestra Italiana, si racconta a Il Sole d’Italia.

di Vito Taormina

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Musicista e musicologo, presentatore e cabarettista, attore e regista. Per descrivere Renzo Arbore si rischia davvero di sprecare i sostantivi. Perché anche pescando dall’inglese (lui è anche «disk jockey», «showman» e «talent scout») resta comunque la sensazione di non riuscire a fornire una definizione precisa di questo personaggio così ricco e poliedrico. Forse Renzo Arbore è più di tutto un artista. Un grande artista che ha il merito di avere esportato tanta musica italiana e di avere importato in Italia, attraverso concerti, festival e programmi televisivi, i più famosi talenti della musica internazionale. Un uomo che, nel corso della sua lunga carriera, si è emozionato davanti alla musica struggente di Roberto Murolo, alla voce rauca di Ray Charles o alla tromba surreale di Miles Davis. E che oggi continua a provare sensazioni forti con il suo clarinetto. Soprattutto quando si esibisce davanti a una platea di italiani all’estero. E infatti il suo concerto con l’Orchestra Italiana del 28 novembre in Messico, nel contesto della Fiera internazionale del libro di Guadalajara, è stato un successo straordinario.

«Sì, è vero, mi sento particolarmente vicino agli italiani all’estero» spiega Renzo Arbore in questa intervista esclusiva a Il Sole d’Italia «e provo grande ammirazione e simpatia per coloro che vivono e lavorano fuori dai confini nazionali. Anche per questo, nel 1996, fui nominato direttore artistico e testimonial di Rai International. A distanza di anni, questa missione di stare vicino alle comunità italiane all’estero mi appartiene ancora. Un compito che non svolgo più sotto l’egida della Rai, ma con l’Orchestra italiana, con cui riscuotiamo sempre successo: dal Canada agli Stati Uniti, dalla Russia alla Cina fino ai paesi dell’America Latina. Insomma: in tutto il mondo c’è una grande simpatia reciproca fra gli italiani all’estero e l’Orchestra italiana».

Qual è il concerto all’estero di cui ha ricordi più vividi?

Il concerto più emozionante fu il primo dell’Orchestra italiana a New York: al Radio City Music Hall. Però l’esibizione più curiosa è stata quella del 1996 a Mosca. Fu il primo concerto in assoluto, dopo la fine del regime, organizzato sulla piazza Rossa e quindi fu pieno di contraddizioni e contrattempi.

Conosce bene il Messico? Sono stato in Messico molte volte, come turista, a Città del Messico, Playa del Carmen, Playa Maroma, Cancun e Tulum. E ho anche visitato i grandi siti archeologici. Il Messico è affascinante e lo sento quindi molto vicino. Inoltre c’è una grande simpatia da parte della gente del Messico per il nostro Paese. Vedo grande ammirazione per noi italiani perché abbiamo una cultura in comune: siamo latini e la nostra musica è molto simile.

Ecco, appunto, la musica messicana. Cosa le trasmette?

E’ una musica melodica: gioiosa e malinconica allo stesso tempo. Gioiosa quando canta la gioia di vivere, perché i paesi del sole hanno questa caratteristica. Malinconica, molto malinconica, e quindi molto melodica, quando invece canta i problemi della gente: come la povertà, l’abbandono, l’addio.

C’è quindi un legame fra la sofferenza di un artista e la bellezza che poi produce? E come no. Le più belle canzoni messicane e napoletane hanno moltissimo in comune perché molto romantiche e malinconiche. Anzi: io dico sempre che le canzoni melodiche più belle del mondo sono le napoletane e messicane. Non dimentichiamo che in Messico sono state composte Solamente una vez e Bésame mucho. Quindi ripeto: fra tutte le canzoni cosiddette spagnole, le più belle sono quelle messicane. Perché cantano gli stessi temi profondi delle canzoni napoletane, come l’amore e la morte, con un grande filo di malinconia.

Ormai la musica si scarica da internet: cosa comporta questa rivoluzione? In parole povere: come campano gli artisti?

In questo momento c’è un grande disordine perché la tecnologia è andata più avanti della discografia e quindi bisognerà rivedere tutti i sistemi di vendita della musica. Però io credo che non si possono rifiutare i progressi tecnologici, anche perché alla fine prevalgono sempre. Bisognerà quindi adattarsi: prima o poi si troverà il sistema perché la musica possa essere compensata come merita. Tutto ciò porterà comunque un progresso: credo molto nell’evoluzione.

A proposito di evoluzione: i giovanissimi preferiscono il computer alla tv. Secondo lei, è possibile che un giorno il televisore possa diventare un oggetto da museo, come ad esempio è accaduto alla macchina per scrivere? Credo di no. Anche la radio sembrava essere destinata a diventare un oggetto da museo, poi invece ha trovato una sua fisionomia. Il computer richiede più applicazione, più attenzione. Ad esempio, bisogna stare seduti davanti al computer. La tv invece può inviare messaggi senza un impegno preciso da parte delle persone e quindi, con il passare del tempo, assumerà un suo valore proprio. Con la sua agilità, la tv ci informerà e ci consolerà.

Nelle sue trasmissioni musicali televisive, come Doc, lei ha ospitato leggende del jazz come Dizzy Gillespie, Miles Davis e Sonny Rollins. Ascoltandoli dal vivo, quali di questi grandi musicisti le ha provocato le sensazioni più forti?

Mi inorgoglisce il fatto che Miles Davis fu ospite di Doc perché da vent’anni non metteva piede in uno studio televisivo. Per me fu una grande conquista. Un incontro speciale, davvero molto importante. Tra l’altro, quella a Doc fu una delle ultime esibizioni di questo grande musicista. Poi mi ha sempre emozionato Ray Charles anche quando, prima della morte, non veniva valorizzato per quello che veramente valeva: intendo soprattutto come cantante. Direi comunque che a me piace tutta la musica. Come non emozionarsi quando si ascolta Roberto Murolo? E apprezzo moltissimo anche la musica capoverdiana e una certa musica brasiliana.

Quale?

Sono presidente di Umbria Jazz e i primi di gennaio a Orvieto, festeggeremo i cinquant’anni della Bossa Nova. Ci sarà, eccezionalmente, Joao Gilberto per tre concerti. Cosa assolutamente inedita perché lui, di solito, non va da nessuna parte.

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